Wednesday, July 20, 2016

Il MURO - WORK IN PROGRESS


“IL MURO”
di Laura Ghiandoni
con la collaborazione di  Giulia Furlani e Michele Conti

Passaporti, permessi di soggiorno, visti. Nell’Italia fondata sulla burocrazia i documenti diventano un muro di separazione, tra poveri ricchi, tra chi può accedere e chi invece è escluso e precluso da servizi, possibilità e libertà.

Un muro di documenti divide le classi sociali, ma è anche una metafora dei tanti muri costruiti realmente di cui abbiamo memoria storica: il muro di Berlino, quello che separa Israele dalla Palestina, la barriera che separa gli Usa dal Messico o più recentemente  il reticolato del Brennero.

La mostra “Il muro” si ispira ad una foto del muro di Berlino, in cui alcune persone guardano attraverso degli spiragli.

Le associazioni sono lo spiragli che aiutano le persone a vedere cosa c’è dall’altra parte: la pace, la gioia, la felicità, che tutti vorremmo.

Il progetto Migrante da cui origina la mostra è realizzato con il sostegno del Centro Interculturale della Pace e del Ceis, mira a far conoscere le varie realtà e associazioni che si occupano di immigrazione nel territorio di Pesaro.


La mostra avrà luogo DAL 16 AL 22 SETTEMBRE alla ex farmacia Zongo a Pesaro Pu.

Sunday, June 26, 2016

Perché l’Inghilterra è uscita dall’Unione Europea? Una teoria sul Brexit.


 L’UE è stata fondata dai nostri nonni per proteggere l’Europa dai dittatori e dalle guerre che potevamo farci tra noi paesi d’Europa.

E’ nata per proteggerci dagli Hitler e dagli Stalin, da coloro che avvallando come motivo di ostilità le diversità fisiche o genetiche, hanno causato e causano ancora guerre e genocidi.

E’ stata fondata per delegittimizzare i movimenti politici più xenofobi che prendono piede nei momenti di crisi di un paese portandoloall’autodistruzione, come è successo con l’ex Jugoslavia.


In Inghilterra i movimenti più xenofobi hanno trovato un passaggio nascosto, un cavallo di troia cioè il referendum per tornare alla carica. Il referendum ha delegittimato in un colpo solo tutte le scelte strategiche del governo inglese, ecco perché si sono dimessi molti membri.

Questo, in sé stesso è il risultato di un fallimento dell’Unione Europea, si è dimenticata lungo il percorso gli obiettivi prefissati e ha permesso l’avanzare di idee populiste xenofobe tendenzialmente violente e distruttive.  Non ha creduto in se stessa e nei suoi valori di pace. Non è stata abile nell’affrontare la questione immigrati.

E’ necessaria una cultura europea che coinvolga il popolo, e fino a quando saranno legali i movimenti xenofobi e certi partiti avranno diritto di fare leva sulle paure della gente per creare reazioni violente, la parola “democrazia” suonerà come debole, ambigua e astratta.

xenofobia= paura dello straniero 


Sunday, September 27, 2015

Recensioni Amadeus On Line


Il Barbiere di Siviglia 

Arena di Verona 4/09/2015


http://www.amadeusonline.net/recensioni-spettacoli/2015/un-barbiere-di-siviglia-che-diverte


 ROMEO ET JULIETTE  Adolescenti ribelli, come noi.

La società è una gabbia fatta di scale.
Scale gerarchiche e sociali. Vorremmo salire, vorremmo scendere. Altre volte vorremmo semplicemente stare fermi,  in contemplazione delle strutture rigide e inumane che vogliono costringere le  nostre emozioni, e come un esoscheletro, racchiuderle e contenerle.
Romeo e Giulietta nella rappresentazione in francese del 3 Settembre all’Arena di Veron, vivono nella regia di Francesco Micheli, che ne esalta le qualità più ribelli e romantiche.
Le drame lyrique -musicato da Charles Gounod e scritto nel 1867 dai librettisti Michelle Carrè e Jules Barbier - è stato rappresentato qui all’Arena 17 volte nel 2007, 2009, 2011, con la regia di Micheli,  la scenografia di Edoardo Sanchi, i costumi di Silvia Aymonino, le luci di Paolo Mazzon.
Siamo nelle periferie di una grande città, lo sappiamo perché i primi ad arrivare dalla platea al palco sono dei ragazzi adolescenti dei nostri tempi, provenienti da famiglie povere, che vivono ai bordi della città. Durante l’overture corrono sul palco per mettere in scena una storia:  quella di Romeo e Giulietta elevati ad eroi.
Vi chiederete: cosa hanno in comune i due innamorati storici con i giovani d’oggi delle periferie?
Tutto: la ribellione, l’odio per le strutture sociali, il rifiuto delle scale gerarchiche, la rabbia contro l’autorità. In più Romeo e Giulietta, come i ragazzini persi delle periferie, sono senza futuro.
Il mondo underground dei giovani oggi, romantici per antonomasia, è fatto di  giustizie e ingiustizie, bellezze e orrori, amori puri e dolori orrendi. La regia di Francesco Micheli ci fa entrare in questo universo attraverso un exploit di simboli romantici e  riferimenti alla modernità: le gare automobilistiche, il punk, i graffiti, il cinema e le oscenità edilizie. Una quantità di simboli e riferimenti -ali, gabbie, cuori e catene-che messi tutti insieme  risultano difficili da interpretare e rendono l’allestimento interessante, ma poco comprensibile, ermetico, a volte sembra addirittura scollegato dalla storia.
Lo scheletro dell’edificio di ferro, fatto di scale e decorato con altre scale, posizionato al centro del palco, diventa presto una gabbia per i coristi e per i ballerini.
Bisogna dire però che va anche stretto agli spettatori, che forse come scenografia si aspettavano qualcosa di meno scarno e non proprio anti estetico.
Ma entriamo nella scena, ed ecco che dopo l’iniziale ouverture comincia il sogno o l’ incubo, dei nostri adolescenti:  i Capuleti e i Montecchi sono due scuderie automobilistiche con tanto di stemma steso sulle gradinate e scritte in curva. Mercuzio entra in scena vestito da pilota con un bolide esagerato alato e che fa i fuochi d’artificio.
Le ali, le scale, le gabbie, sono i simboli che riprende anche la costumista Aymonino,  che per compensare la scarna scenografia, veste il coro dei Capuleti e dei Montecchi in modo sfarzoso ed esagerato, come figure inumane  e  aliene, grandi collari e gonne di ferro, tuniche e maschere sempre di ferro. I due protagonisti invece risaltano per la semplicità delle vesti simbolo della loro purezza.
 E ora arriviamo all’ottima musica che ha reso comunque lo spettacolo godibilissimo.
Buona la performance dell’ormai consolidata “bacchetta” Daniel Oren, bene il coro condotto da Salvo Sgrò.
Poco invasive e marginali le coreografie di Nikos Lagousakos, eseguite dal corpo di ballo diretto da Renato Zanella.
Irina Lungu, nelle vesti di Juliette, ci ha incantato con la solita straordinaria vocalità, raffinata, bene proiettata e dal timbro perfettamente adatto all’ampiezza dell’ambiente areniano e al personaggio angelico di Juliette, si conferma uno dei migliori soprano lirico del panorama internazionale.
Giorgio Berrugi,  nella parte di Romeo, ha mostrato una vocalità rigogliosa, dai registri omogenei, non ha brillato per agilità vocale, ma è riuscito a coprire adeguatamente il suo difficile ruolo.
Leonardo Cortellazzi nella parte di Tybald, ci ha offerto un’ottima performance vocale e teatrale, di eccellente agilità e volume adatto all’ampiezza dello spazio areniano.
Mercuzio, cantato dal georgiano Michael Bachtadze, ha mostrato una voce corposa e ben proiettata, ottima anche la presenza scenica e l’interpretazione.
La mezzo soprano Nino Surguladze, nel ruolo maschile di Stephano, ha mostrato una voce agile, corposa, e accattivante.
Alice Marini, è riuscita ottimamente a caratterizzare il personaggio di Gertrude, con una voce agile dal bel timbro.
La vocalità di Nicolò Ceriani, non è brillata per agilità, ma lo è per corposità e volume.
Frère Laurent, interpretato dal basso Giorgio Giuseppini, ci ha stupito con la propria presenza scenica e grandissimo carisma.
Bene Benvolio interpretato dal tenore Fracesco Pittari e anche Deyan Vatchkov nei panni del  Duc de Verone.

Bravi i cantanti e apprezzate le intenzioni della regia,  ma troppo cerebrali per un’opera sentimentalista.  

Sunday, April 5, 2015

Progetto a lungo termine - WORK IN PROGRESS

Dopo la residenza artistica a Krusedol in Serbia nel 2013, sto scrivendo un trittico di racconti ambientati in ex Jugoslavia che affiancheranno alcune fotografie di reportage. Work in progress!

Tuesday, September 16, 2014

Have a look on FB:   "A Casa Di Laura" 

Art classes and events for children!
Favole recitate, spettacoli di bolle di sapone giganti, lezioni di fotografia per bambini dai 2 anni in su, teatro delle ombre, laboratori nelle scuole. 
Il sito in arrivo!







Links to Web Magazine Reviews - Rossini Opera Festival 2012 - Recensioni per il sito web "Amadeusonline"


www.amadeusonline.net/recensioni-spettacoli/2012/ciro-in-babilonia-a-pesaro
www.amadeusonline.net/recensioni-spettacoli/2012/sempre-accolta-con-entusiasmo-la-matilde-di-martone
www.amadeusonline.net/recensioni-spettacoli/2012/il-signor-bruschino-convince-a-metagrave

Pesaro, 13 Agosto 2012
 Il Ciro in Babilonia va in scena al Rossini Opera Festival, alla sua 33° edizione. I cantanti sono dei due colori del dramma: il bianco e il nero. E’ come se il grigio si fosse posato su di loro e si fosse diviso in due. Paragonato a loro, alle passioni, ai desideri e rancori, il grigio è inanimato come il deserto e la pietra.
In questo paesaggio, gli spettatori si fondono con gli attori, nell’effetto di una sala cinematografica dove è rappresentato un film muto anni ‘20. La scenografia in 3D, quindi proiettata sulle pareti e le fantasie dell’epoca sono state pensate e realizzate dal gruppo D-WOK esperti in comunicazione multipiattaforma, le scene e le luci sono state progettate funzionalmente da Nicolas Bovey,  Prima opera seria messa in scena da Rossini ventenne, fu scritta per la quaresima del 1812  e rappresentata quell’anno nel Teatro Comunale di Ferrara.
L’opera fu un fiasco, forse perchè il librettista Aventi, tutto sommato un dilettante, cercò in tutti i modi di avvicinare al gusto degli spettatori la vicenda dell’Antico Testamento, aggiungendo scene di pathos amoroso e drammatico tramite l’uso di lunghissimi recitativi.
Ultima opera ancora non realizzata dal Festival del grande compositore, non possedeva ancora il tradizionale testo critico realizzato su misura. Ora felicemente edito, vi appare uno scritto di Ewa Podles, i disegni nei figurini del costumista Falaschi, scritti di Bruno Cagli, Daniele Carnini e Ilaria Narici.
Nelle prime pagine compare il divertente aneddoto  che racconta di come Rossini abbia scritto una piccola aria adattandola alla cantante secondaria piuttosto stonata, oltre che brutta, alla quale riusciva intonata una sola nota: il si bemolle. Proprio per questo, l’aria fu cantata bene e la cantante fu molto applaudita.
L’orchestra  del Teatro Comunale di Bologna  è diretta in modo forse troppo rigido da Will Crutchfield, conosciuto per essere il Direttore del Caramoor International Music Festival, (Stato di NY)
Il regista Davide Livermore con questo spettacolo ci butta dentro alla matrioska della realtà teatrale, come in uno specchio magico, facendoci assistere alla rappresentazione di noi stessi, dal di fuori e dal di dentro. Con un tocco di spirito bambino, una sonora nota di ironia e autoironia, ci mostra l’amore travolgente delle sue vette di passione e dei suoi mielosi stagni. E’ facile ricordarsi di questo regista, perché è un’eccellenza creativa del nostro secolo che si è espressa ogni volta causando un boato di sorpresa. Nel marzo 2011 ha portato in scena al Teatro Regio di Torino i Vespri Siciliani, opera sulla quale ricalcava l’Italia di oggi, dominata dai media, ricordando per l’occasione la storia di Falcone e  Borsellino. Durante tutta l’opera hanno brillato i tocchi di genio, dal gusto delicato e per niente invadente.
La stessa meraviglia ci ha lasciato a bocca a aperta per tutto lo spettacolo, per merito dei costumi realizzati da Gialuca Falaschi: l’accostamento vulcanico di una miriade di differenti texture sovrapposte l’una sull’altra, la combinazione dei più svariati stili d’abbigliamento che richiamavano storie vere ed inventate: dai maya, passando per i faraoni dell’Antico Egitto, fino a ricordare la Regina di Cuori di Alice nel paese delle meraviglie della Walt Disney, con l’effetto di sdrammatizzare l’opera, ricondurla con brillante ironia alla favola.
In una cornice del genere: eccentrica, ma in bianco e nero, la direzione del ROF è riuscita a riunire un ventaglio di cantanti di fama indiscussa di tutti i colori dell’arcobaleno.
Il tenore americano Micheal Spyres, nelle veci di Baldassarre, e Jessica Pratt, in Amira, hanno interpretato superbamente i loro ruoli principali. Ewa Podles, monumento al belcanto, arriva al ROF a interpretare la parte di Ciro, dopo una lunga carriera contraltistica. E’ stata applauditissima. Anche i cantanti secondari sono stati ben scelti, lanciati a brillare nel firmamento pesarese: Carmen Romeu da poco uscita dall’Accademia Rossiniana e da quella di Santa Cecilia, ha svolto il ruolo di Argene. Mirco Palazzi, Robert McPherson, Daniele Costantini, tutti hanno dato il meglio ed hanno tenuto il livello generale dell’opera veramente alto.
















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Wednesday, April 18, 2012

Perugia Fantacity / Rocca Paolina 20-22 Aprile


inspira espira

Inspira, espira, con calma.
Non ti far travolgere dal caos della grande mela, dalla sua esplosiva vitalità che attira a sé cercando di toglierti la pacata serenità di cui hai diritto, in quanto essere piccolo, in un grande universo.
All'inizio ti sembra di ricevere e basta, sei pronto a prendere quello che cerchi e che ti dona la città: l'assurdo, il meraviglioso, l'incredibile.
Giorno dopo giorno, lo straordinario, che si ripete sempre diverso, comincia ad annoiarti, il meraviglioso diventa routine. La routine diventa lo straordinario: uno spettacolo incessante che sembra ti voglia sconfiggere bombardandoti di stimoli.
I tuoi occhi non sono più gli stessi; se incontrano l'insolito, l'incredibile, l'eccessivo, lo salutano con uno sguardo di sbieco, poi si voltano saturi.
Oppure si chiudono. Preferiscono lasciare il mondo a sé stesso: troppo pieno per entrarci.
C'è un muro trasparente tra le persone che sono tutte ammassate in uno stesso spazio, ma che non sono vicine.
Meglio se chiudi gli occhi. Cerca di dormire sulla metro in presenza di tutti.
Mentre gli sconosciuti ti guardano, nessuno crede nell'elemento umano dietro le tue palpebre chiuse.
Piangi? Non piangere. A cosa serve piangere?
Fallo davanti alle telecamere, se proprio devi. Se fossi l'attore di una soap opera sarebbe diverso.
Non lo sei. Ti guardi attorno, vedi lo sporco, il brutto che ti circonda.
Sei sotto, dietro, fuori, non sei su un palco. Nessuno fa caso a te.
Piangi pure, tanto non sei nessuno fino a che sei immerso tra la gente come te.
Gli uomini, le donne, gente che lavora, e basta.
A proposito non hai mai lavorato così tanto. Stai superando il limite, entrando nelle cerchie superiori, tra le divinità dell'oggi (segretamente già tu lo sei, gli altri ancora non lo sanno, lo devi solo dimostrare).
Intanto stai in vita e completa la tua missione.
Raschia con le unghie il possibile, bussa a tutte le porte, metti un piede dentro e lascia entrare lo spiffero di aria che tiene vivo l' adorato fuoco della speranza.
Respira piano, delicatamente, non spegnerne la fiamma.
Non abbandonare il fragile equilibrio alla sciocca emozione del momento.
Inspira, espira. 

Friday, March 23, 2012

Thursday, January 19, 2012

Come Fiori

Vedo mille iridi appese al nero,
ballerine come lucciole.
Simili a volatili soffioni nel vento
se ne vanno.
Rinnovate, dimentiche,
risalgono le montagne della notte,
padrone di nulla,
ma di sé stesse.
Ancora scendono in picchiata,
ogni occhio solo,
ma in quantità,
si deposita sul fiume carico,
affonda con gli altri. 


Bisbigliano forme e colori
dal rosa delle loro conchiglie.
Noi sordi al latte,
pur di non posare i piedi
sul buio principio della terra
attraversiamo a nuoto
la cenere atmosfera.




Toccare la realtà coi polpastrelli,
soda come roccia rossa
su cui ti arrampichi ostinato.
Accostarsi alla sabbia scura in cima,
abbracciarne la vetta logora
e guardare giù.
Trovare la montagna assalita
come un viscido formicaio.
Panorama orrido
e al contempo armonioso.
Ammirare la moltitudine 
degli uomini e delle cose
consumarsi in vetta.
Mentre cade
vederla rigenerarsi
in mille rivoli di luce e di acqua.

Andare avanti,
procedere.
Dall’inizio alla fine.
Bianco in cima
nero in fondo.
Un cilindro arcobaleno
fino come uno stelo,
cresce, sale e migliora.
S’inventa mano a mano,
nell’assurdo invade l’aria.
Rinasce, cambia,
si trasforma in un altro sé
e poi cade,
si squarta
perde sembianza.



Tanti, troppi,
molto più di voi.
Ingenui credevamo
che tutto sarebbe andato avanti,
proprio come prima.
Fino a quando smettemmo
anche noi di calpestare
lo stesso suolo di sempre
e sul sentiero
che tagliava il bosco
tra la casa e il mare,
sorsero giovani arbusti di pino. 




Siamo posti entro cerchi
e non in fiori,
ché di loro vorremmo
coprirci fino ad affogare.
I moti di sgomento
li rivolgiamo al vicino distratto.
Su lui,
come neve bollente
la pena fiocca
in circonvoluzioni perfette.




Mani di radice
si stringono sospese.
Piedi grassi come tronchi
a passeggio sul breccino
calzano scarpe usurate. 
Fiori a sacchetti
annunciano primavera.
Oppure un’altra stagione
a spolverare con cura
le lapidi di chi una volta amasti.






Tu fantasma?
Giunto da lontano
in un giorno di sole.
Filtrava il mondo da uno spiraglio della finestra,
non potevo sedermi al tavolo.
Giravo attorno
sgranocchiando fette di mela secche.
Fosti tu ad accarezzarmi la gota abbronzata,
reale e freddo era il palmo della tua mano.
Parole,
come fiocchi di neve
si posarono sui mobili della stanza.
A riscaldarmi quando te ne andasti
fu l’abbraccio delle care abitudini
tra le le cose amate.
Ti rincontrai solo una volta,
mentre acquistavo fiori finti al mercato. 


Sei fumetto o foto?
Autentico,
sì, sei vero.
Anche se dietro al tuo volto
navigano nubi e vapore,
hai vissuto nel mondo.
Non lo si legge soltanto
nelle rughe attorno agli occhi,
o nell’espressione interrogativa
delle sopracciglia.
 Lo si legge fuori,
nel muro di calcestruzzo
che incornicia la tua foto.
Ti prego di dirci:
Vita è
bellezza o degrado?



Naso, occhi, orecchie.
Sei proprio me,
lo stesso.
Con le spalle storte,
due gambe come legni.
Quella cicatrice sulla bocca
che ti ha risucchiato d’ingiustizia le notti.
Sul cemento di recente
i contrasti si sono fatti più intensi.
Eppure è mezzogiorno,
guarda che sole e che bellezza!



L’unicità dell’essere umano e le sfaccettature che caricano l’esistenza di una persona lungo tutto il percorso sono valori che  vengono lentamente annullati tramite la morte.
La realtà della morte in “come fiori” ha la sua presenza delle lapidi. Allo stesso tempo la morte dà un significato alla vita, le dà valore stabilendo non solo un limite ineludibile, ma anche una continuazione, una rinascita e reincarnazione in un altro essere completamente nuovo.
Siamo come fiori perché siamo bellissimi, e come i fiori scompariremo senza lasciare traccia. I fiori sono anche il simbolo dell’affetto che ci lega ai nostri morti. Siano essi freschi, di plastica, seccati o marciti, diventano una forma di orologio, che misura il tempo che passa e cancella giorno dopo giorno il ricordo del defunto in senso fisico.
Resta dentro di noi la persona perduta, che vaga come un fantasma, come un abbaglio di luce che ci acceca quando ritorna nei nostri pensieri.
Ecco perché è fondamentale ricordare a noi stessi che, benchè ci sentiamo meravigliosi, unici e di valore, questa unicità nella vita non può niente contro la morte, che annulla, distrugge, ci farà scomparire, senza lasciare traccia alcuna o quasi, forse la speranza di ritrovarci nel volto di un’altra persona, un figlio.

Ho sentito la necessità di realizzare “Come Fiori” per esprimere un messaggio dal buio, un idea che se concepita in pieno potrebbe annicchilire, ma così espressa in una serie fotografica corredata di poesia intende trasmettere all’osservatore forza e bellezza.

“Come fiori” è una serie di 20 fotografie e 10 poesie di dimensione media 60x60cm circa. Disponibile sarà presto la traduzione in inglese delle opere poetiche.

Questo lavoro si potrebbe collocare nella categoria del reportage artistico contemporaneo.
Le fotografie e le poesie convivono bene assieme, ma riescono anche a vivere individualmente all’occorrenza.