Wednesday, January 28, 2009

MorganTown



Morgan Town è qui e per ora questo nome è pura ironia. Chi la chiama e dice di abitarci, segretamente ne è imbarazzato, evita i commenti. Sono un bar, un cafè ed un alimentari ed una galleria d’arte. Ed è tutto, e siamo lontani venti minuti in subway da Manhattan, con i suoi fuochi d’artificio e questo è un altro mondo e i fiori li guardi spuntare dal cemento,giorno dopo giorno andando a prendere il treno. Le case sono fabbriche e loft, gli abitanti sono operai sudamericani e artisti ancora ben sommersi, sommersi di lavoro, di tasse e di fatiche. All’uscita della subway ci sono i cementifici, due torrette di guardia una a destra, una a sinistra, sono i castelli. A guardare giù non c’è nessuno, ma se ci fosse stato avrebbe avuto la pelle olivastra come la mia avrebbe fischiato al passaggio di una bella donna con la pelle olivastra come la sua e poi detto qualche cosa in spagnolo. I camion entrano, li sciaquano, li caricano, escono.Gli operai si sarebbero girati, tutti nella stessa direzione, tutti a dire Beautiful calcando troppo tutto, sia le vocali che le consonanti. E poi di nuovo la routine. I camion arrivano, li sciaquano, li riempono, ripartono. E chi sa dove vanno.
La terra che non c’è, che non vorrebbe esserci ancora, nascosta sotto il cemento e la polvere di cemento secco. La terra che ci sarà in un futuro, ma che ancora non si mostra. C’è chi lo vede il futuro e chi no. Chi non lo vede quando è estate è lì fuori sorridente e grasso a sorseggiare una birra, ha tanti figli e una moglie anche lei grassa che griglia hot dogs sul marciapiede, non sente la puzza del cemento che fonde, balla musica sudamericana e se ci sono 40 gradi all’ombra fa esplodere le fontane antiincendio e corre per la strada con dei secchi pieni d’acqua e prima si bagna lui e poi lancia pentole colme d’acqua sugli altri, i figli, i cugini, i nipoti, chiunque sia, tutti sono stati invitati, qualsiasi età e sesso, a sorridere e scherzare con una birra in mano. E se la festa è finita ed è solo siede pacatamente su una sedia di plastica e guarda l’acqua scorrere dopo aver fatto saltare la fontana antiincendio, regalo di dio e dello stato, puro spettacolo naturale, ne osserva il getto potente sgorgare a non finire mai, correre fino alla botola della fogna, seguire la pendenza della strada battuta dai camion, creare all’inizio una pozzanghera poi un vero e proprio fiume colare giù con forza, scivolare laggiù nei recessi del mondo, dove le cose scompaiono.
Ma ora è inverno, e proprio ora nevica furiosamente.
Chissà, si scalderanno facendo l’amore e qualche altro figlio e il sorriso è ancora lì forse dato dalla gioia di chi supera le catastrofi di cui la vita è prodiga.
E poi gli altri operai, sporchi e puzzolenti, sopra e sotto le macchine a rovistare aggiustare, lavare, pitturare, affettare , pulire, caricare, scaricare, parcheggiare, e ripartire. E’ quello che fa la gente onesta che crede nel lavoro, la gente che ha una morale e spera di sfuggire agli ingranaggi con cui la società ti strozza.

Morgan Town ha i suoi propri venti ed è ne mezzo del deserto della modernizzazione industriale nell’epoca della globalizzazione.Vento di Bakery su Porter Avenue alle 10 del mattino e alle 7 di sera, porta il profumo di torta di mele e biscotti burrosi.
Pasta per cani su Grattan ventiquattro ore su ventiquattro e da Ingraham Street, seashells, una fabbrica cinese lavora le conchiglie, le sminuzzano per farci è meglio non sapere cosa.
Sì, qui l’aria spesso è qualche cosa di puzzolente, qualcosa che è fastidioso respirare e devi per forza concentrarti su un futuro di rosa, sapone, lavanda, in cui sarai un artista riconoasciuto ricco e perciò felice, e rilascerai interviste su quando vivevi a MorganTown, e ricorderai con un sorriso. Per ora cammina dritto da casa tua alla subway, non sorridere e non ti guardare intorno, rischi di rovinarti gli occhi e la sensibilità visiva lungamente coltivata, rischi di essere catturato dal grigiore, dalla bestialità sintetica dell’architettura funzionale.Vai in palestra ad assicurarti una lunga vita oppure vai alla tua internship, non pagata, oppure al negozio d’abbigliamento vintage e quando torni a casa mangia la tua preziosa zuppa biologica, e sorseggia con calma tuo drink biologico, e non dimenticare di mettere nella borsa vintage il tuo snack alla carota, biologico.
Ma chi se ne frega degli hipster, pseudo artisti, affatto ribelli e tutti in uniforme, dov’è la cultura? L’intelligence americana? C’è, è nascosta e parla attraverso i giornali forse?Oppure vive su internet?
Dietro una scrivania e un computer e di fronte a un letto a baldacchino su un pavimento in forte pendenza cerca lavoro forsennatamente, perché a New York anche ora tutto è possibile e la cultura frutta miliardi.
Eppure esiste, è qui. Vive sotto la polvere ha la forma di una storia che nessuno vuole sentire perché c’è poco da dire e per ora aspettiamo che sia il tempo, dio, lo stato, il dollaro, che uno alla volta o che tutti insieme ci soffino sopra.

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