Wednesday, March 4, 2009
Una Vespa Insulsa, Febbraio 2009
La forma è quella di una donna, ma è color della viola, è una vedova tirchia, certo di classe.
E’ anziana ma non troppo e non è la bruttezza a pungere l'occhio. Sono i modi intonacati e la puzza di fintume infradicito ad appestare la sala. Non di un palco, ma solo dell’ala ovest di un caffè come un altro.
Sorride come una vecchia zanzara zoppa: la boccuccia trapezoidale si tira e stringe a molla, in balia di tensioni invisibili né dicibili. I capelli stan sù ad altare, merito di un’impalcatura interna e di un’overdose di lacca: una vera e propria gabbia di lucciole!
Spaventosa mentre ride. Aspra, i due occhi fissano per un po’ il lampadario, come se avesse scovato un piccolo genio lassù appollaiato poi, memore di una presenza grassa arancione e liscia dall’altra parte del tavolino rotondo, a caccia delle sue orbite, prima se la ingrazia, poi la accusa. O forse accusa, qualcun altro.
Un fantasma giace lì essicato sulle sue ginocchia!
E poi…chissà che farà ora…e chissà questa zanzara marionetta quanti mariti deve aver ammazzato, con quel bel fermaglio di praline viola che c’ha in testa.
Se si fosse rivolta a me e avesse detto magari una parolaccia a bruciapelo pretestuosa per tirarmi fuori da questi malsani pensieri, l’avrei ringraziata.
Oppure un gesto d’amore improvviso, mi avesse lanciato un bacio, ed io, come a tennis, glielo avessi rilanciato con una racchetta finta oppure vera, comparsa dal nulla nelle mie mani. Oppure sarebbe stato buffo se avesse esibito una sessualità brutale per un secondo, l’avrei spiata con la coda dell’occhio, ed avrei creduto di vedere non so cosa, e poi una polverina magica avesse avvolto e coperto il non so cosa e non me ne sarebbe importato più nulla.
Invece si è alzata, facendo crollare a terra un castello di forme geometrizzate. Si è ricomposta dal gingillio buffo-accusatorio, calata la gonna sotto le ginocchia ed è sparita dietro le mie spalle, portando via con sé il viola di vedova e l’arancio della grassona liscia.
Ma bizzarro, attorno al tavolino è rimasto tutto più vivo che mai.
Giace scomposta una vuotezza invisibile, minimalista e decorativa e un foglio bianco senza segno. Ha lasciato me senza nulla da schifare, senza nulla di cui aver paura o da odiare. Ha lasciato me a me.
Al mio buco nero che un altro fil di vento ha fatto fischiare.
E’ anziana ma non troppo e non è la bruttezza a pungere l'occhio. Sono i modi intonacati e la puzza di fintume infradicito ad appestare la sala. Non di un palco, ma solo dell’ala ovest di un caffè come un altro.
Sorride come una vecchia zanzara zoppa: la boccuccia trapezoidale si tira e stringe a molla, in balia di tensioni invisibili né dicibili. I capelli stan sù ad altare, merito di un’impalcatura interna e di un’overdose di lacca: una vera e propria gabbia di lucciole!
Spaventosa mentre ride. Aspra, i due occhi fissano per un po’ il lampadario, come se avesse scovato un piccolo genio lassù appollaiato poi, memore di una presenza grassa arancione e liscia dall’altra parte del tavolino rotondo, a caccia delle sue orbite, prima se la ingrazia, poi la accusa. O forse accusa, qualcun altro.
Un fantasma giace lì essicato sulle sue ginocchia!
E poi…chissà che farà ora…e chissà questa zanzara marionetta quanti mariti deve aver ammazzato, con quel bel fermaglio di praline viola che c’ha in testa.
Se si fosse rivolta a me e avesse detto magari una parolaccia a bruciapelo pretestuosa per tirarmi fuori da questi malsani pensieri, l’avrei ringraziata.
Oppure un gesto d’amore improvviso, mi avesse lanciato un bacio, ed io, come a tennis, glielo avessi rilanciato con una racchetta finta oppure vera, comparsa dal nulla nelle mie mani. Oppure sarebbe stato buffo se avesse esibito una sessualità brutale per un secondo, l’avrei spiata con la coda dell’occhio, ed avrei creduto di vedere non so cosa, e poi una polverina magica avesse avvolto e coperto il non so cosa e non me ne sarebbe importato più nulla.
Invece si è alzata, facendo crollare a terra un castello di forme geometrizzate. Si è ricomposta dal gingillio buffo-accusatorio, calata la gonna sotto le ginocchia ed è sparita dietro le mie spalle, portando via con sé il viola di vedova e l’arancio della grassona liscia.
Ma bizzarro, attorno al tavolino è rimasto tutto più vivo che mai.
Giace scomposta una vuotezza invisibile, minimalista e decorativa e un foglio bianco senza segno. Ha lasciato me senza nulla da schifare, senza nulla di cui aver paura o da odiare. Ha lasciato me a me.
Al mio buco nero che un altro fil di vento ha fatto fischiare.
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