Tuesday, July 28, 2009

Perugia 2007 Batik Film Festival.

Ultima Visione.

Boccate di aria fresca, ma non umida Perugia ne sente poche.
Però è cominciato proprio oggi il Batik Perugia Film Festival; con entusiasmo siamo accorsi, e fuori dalla Galleria Nazionale mezz’ora prima dell’incontro sul cinema e sull’arte con Sakurov e Ghezzi c’era già la fila:
-Avete la prenotazione?-
Certo che No.
Non c’era scritto sul depliant, migliaia di copie sparse per la città. Inutile chiedersi quante, quanta gente era stata presa in giro. Dopo un po’ eravamo un centinaio le persone davanti alla porta; chi venuto addirittura da Roma per l’evento, gente che arrivava, chiedeva, ci restava male e se ne andava. Ma non solo delusione negli occhi, potevi vedere chi seduto sul gradone all’esterno dell’edificio si macerava visibilmente dalla rabbia e erano quelli che ci tenevano di più, quelli che seguono il cinema e la notte riescono a guardarselo dall’inizio alla fine Fuori Orario. No, gli intellectual fans, oppure quelli che erano solo assetati di cultura e disposti a passare tutta la domenica a girare per la città cercando i locali dove avrà luogo la rassegna, davano espressione dell’amarezza trattenendo la ferocia e tentando di ottenere spiegazioni dalle due signorine al portone che selezionavano chi poteva entrare con l’invito e chi non non ce l’aveva fuori.
-Per motivi di sicurezza non vi possiamo far entrare- anche se siete verdi di collera, anche se c’era scritto solo sul sito internet che bisognava prenotare.
-E come mai che gli altri se ne sono accorti che c’era da telefonare prima di venire? Anche sull’annuncio stampa c’era scritto.Che forse gli altri sono più intelligenti?-
E sì, che dare dello stupidi a un centinaio di persone che corrono a vedere chiacchierare Sakurov e Ghezzi di arte e cinema non è coerente, forse non erano lucide o forse pensavano di essere i buttafuori di una discoteca.
Sta di fatto che non si è potuto entrare e non si è potuto fuggire. Abbiamo aspettato che le ragazze se ne entrassero per non mollare la presa, salire le scale, c’era chi cercava di illudere le due organizzatrici che ormai erano la personificazione vivente della sorveglianza, chi cercava un modo per infiltrarsi, come se la Galleria Nazionale si fosse trasformata in una fortezza, ma più come se attorno a noi fosse stata eretta la galera. Allora ho visto la porta chiudersi davanti a quei pochi con la speranza accesa negli occhi.
Non l’ho guardata spegnersi, spero ancora non si sia spenta.

Ho pensato ai pomodori, alle uova marce, ai calci nel culo. A sfondare l’entrata, a farglielo capire con le buone che rabbia avevano generato nelle persone, che la rabbia sempre sarebbe sfociata da qualche parte. Che le spiegazioni servono, che le scuse che non abbiamo ricevuto ancora, ce le devono e stiamo nelle nostre casine ancora irritati ad attenderle.

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