Tuesday, July 28, 2009
Scritti 2007: Un pachiderma a Roma Termini.
Sono forse un elefante?
Porgo alla cameriera un quesito semplice dopo aver rifiutato un secchio traboccante di noccioline con tanto di guscio come li ho visti solo nel cartone Dumbo della Walt Disney.
In effetti Dumbo di qui ci deve essere proprio passato, forse è un cliente abituale che ha contagiato questo buffo ristorante, nel quale quando ti guardi attorno non c’è nulla delle tue misure delle quali finisci presto per stufarti e anche un po’ vergognarti. Sembra piuttosto un punto di ristoro per giganti, e giganti sono i piatti, le fette di torta e i coltelli.
E seduto ad uno di questi tavolini puoi scegliere se sentirti un piccolo e tozzo immigrato con la nostalgia dei campi e a disagio tra sicure silhuette scenografiche di qualche bufalo della prateria (volato anche lui lì come un elefante appunto), oppure essere un medio italiano della modernità, perfettamente adattato al nuovo ambiente, preparato da secoli di soap opere, documentari e telefilm a questo breve e intenso viaggio nell’americanità di Roma Termini, in cui finalmente i colori delle mucche come quelli delle torte sono brillanti e lucidi, le cameriere ti storcono il naso se dici che sei a dieta, come dire che se sei un vero cow boy della linea te ne freghi e faresti meglio a divorarti la bistecca di carne argentina alla griglia e conseguenti patatine fritte con la silente consapevolezza che solo il vero uomo del Texas possiede.
Mastichi carne senz’ossa, tra insalate di maionese e pollo e pane, puoi contare le molliche sulla tovaglia oppure pensare a quanto grande è il mondo, a come appare singolare ogni volta che ti si mostra nelle sue infinite sfaccettature, anche ora nel tuo piatto o sulla punta della forchetta a un palmo dal tuo naso. Questa volta ci sono fettone di tradizione europea elaborata o semplificata, oppure arricchita di quel tocco estetico-manageriale che ci si cade come pesci in una pentola d’acqua bollente, si finisce con l’esagerare con le french fries e l’hamburger.
Si esce dalla sala coi valigini più piccoli e faticosi da trascinare, i pancini dolenti e gonfi, e a pesare sullo stomaco, un pezzettino d’America.
Porgo alla cameriera un quesito semplice dopo aver rifiutato un secchio traboccante di noccioline con tanto di guscio come li ho visti solo nel cartone Dumbo della Walt Disney.
In effetti Dumbo di qui ci deve essere proprio passato, forse è un cliente abituale che ha contagiato questo buffo ristorante, nel quale quando ti guardi attorno non c’è nulla delle tue misure delle quali finisci presto per stufarti e anche un po’ vergognarti. Sembra piuttosto un punto di ristoro per giganti, e giganti sono i piatti, le fette di torta e i coltelli.
E seduto ad uno di questi tavolini puoi scegliere se sentirti un piccolo e tozzo immigrato con la nostalgia dei campi e a disagio tra sicure silhuette scenografiche di qualche bufalo della prateria (volato anche lui lì come un elefante appunto), oppure essere un medio italiano della modernità, perfettamente adattato al nuovo ambiente, preparato da secoli di soap opere, documentari e telefilm a questo breve e intenso viaggio nell’americanità di Roma Termini, in cui finalmente i colori delle mucche come quelli delle torte sono brillanti e lucidi, le cameriere ti storcono il naso se dici che sei a dieta, come dire che se sei un vero cow boy della linea te ne freghi e faresti meglio a divorarti la bistecca di carne argentina alla griglia e conseguenti patatine fritte con la silente consapevolezza che solo il vero uomo del Texas possiede.
Mastichi carne senz’ossa, tra insalate di maionese e pollo e pane, puoi contare le molliche sulla tovaglia oppure pensare a quanto grande è il mondo, a come appare singolare ogni volta che ti si mostra nelle sue infinite sfaccettature, anche ora nel tuo piatto o sulla punta della forchetta a un palmo dal tuo naso. Questa volta ci sono fettone di tradizione europea elaborata o semplificata, oppure arricchita di quel tocco estetico-manageriale che ci si cade come pesci in una pentola d’acqua bollente, si finisce con l’esagerare con le french fries e l’hamburger.
Si esce dalla sala coi valigini più piccoli e faticosi da trascinare, i pancini dolenti e gonfi, e a pesare sullo stomaco, un pezzettino d’America.
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